Luigi Civita

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Messaggi personali

Il mio pensiero si leva in alto, oltre le pareti di questa stanza, oltre gli alberi di questo giardino, oltre la superficie curva della volta celeste e nella sua corsa cresce e si nutre anche delle tue parole.

Ho ritrovato il piacere delle parole, delle mie parole, grazie ai tuoi sms. Sono contento di trasmetterti emozioni. Capirsi era, ovviamente, per te.

Ho visto il volto sorridente di un uomo che solo pochi minuti prima aveva pensato le tue stesse parole, e aspettava il momento giusto per scriverle. Era il mio riflesso.

Luna, voglio solo dirti che sei la persona più bella che abbia mai conosciuto.

Forse non lo sai, forse nessuno te l'ha mai detto, ma sei un EROE; non è da tutti lottare alla tua età contro il mondo con una pistola nella fondina. Ma ce l'hai fatta, ora potrai riposarti e pensare a te. Fa che nuovi orizzonti si schiudano dinanzi a te.


Una teoria interessante

Molte donne usano guidare un fuoristrada, e non una normale utilitaria, perché sono consapevoli della propria inattitudine al volante e preferiscono non farsi male ad ogni incidente provocato. (Leonardo)

Non me ne vogliano le donne che sanno davvero guidare.


Civitazioni

Esprimi un desiderio e il Genio, anzi il Gino, lo esaudirà.
(Maestro Sagomo)

Sono una persona che ama più un sorriso che una lacrima, anche se quel sorriso vuol dire una lacrima dentro il suo cuore.
(P3gasus)

Viva le ex, specialmente perchè sono ex.
(Pinco Pazzino)

E' tutto vero.
(Adriana)

I tuoi attimi sono frammenti d'eterno.
(Selvaggia)

Se il mondo fosse fatto da vegetariani, in caso di guai non ci sarebbero macelli, ma solo grandi cavolate.
(Pinco Pazzino)

La fotografia del giorno - Daya

Daya, occhi che navigano nel mare della dolcezza.
Investita e abbandonata nel rosso del suo tramonto,
mentre gli occhi si spegnevano, a soltanto tre mesi.
Daya, ripudiata dalla sua "famiglia" dis-umana dopo l'incidente.
Sola per un mese nella cella di una clinica privata,
perché la sua zampetta era in pericolo.
Daya, che ora sta bene.
Daya, che in indiano significa gentilezza.
Daya, ancora una volta sola. Daya, finalmente a casa, la sua.



Sabato 25 ottobre Daya ha lasciato la casa di Roma ed è arrivata a Milano, da Serenella e Pluto. Il mio augurio più sincero è di una vita felice con la nuova famiglia.


Notizie dal mondo
Ultime notizie
Lettere ai giornali


La bonifica fantasma
di Luigi Civita

Sparisce l'ICI, ma un'antica gabella di medievali fattezze riprende a tormentare migliaia di cittadini italiani. Parliamo della temuta e onnipresente tassa di bonifica, passata indenne alla seconda guerra mondiale, ai vari governi e alle legislature che si sono susseguite nel corso degli anni, superando per longevità anche la ormai deceduta imposta comunale sugli immobili. Dal Nord al Sud, nessuno è al sicuro.

I consorzi di bonifica furono istituiti negli anni 30, con Regio Decreto, e da allora di tanto in tanto si svegliano da un atavico torpore e per far quadrare i bilanci vessano i cittadini prima con innocue richieste di pagamento, che possono essere tranquillamente ignorate, e poi con cartelle esattoriali che, se non pagate, comportano conseguenze gravi che possono arrivare al pignoramento dei propri beni mobili e immobili. E così in tanti tirano un sospiro di rassegnazione, stringono ancora un po' la cintura dei pantaloni, giusto per tenerli sù per qualche giorno nonostante lo stomaco sempre più vuoto, e si recano a testa bassa all'ufficio postale o allo sportello bancario per regalare a chichessia un altro po' di soldini.

Se alcuni consorzi davvero lavorano e attuano opere di bonifica e di prevenzione, per tanti altri lo sforzo è solo quello di dare mandato a Equitalia o società affini perché si occupino della riscoscossione del millantato credito. Eppure, gli strumenti per reagire al balzello e per rispondere picche ci sono. Basta guardare la cartella esattoriale, per rendersi conto anzitutto di irregolarità formali: la descrizione, spesso, riporta soltanto una dicitura del tipo "Tassa di bonifica 2004"; davvero troppo poco per giustificare la richiesta di pagamento. Viene leso, infatti, il diritto di difesa del contribuente, che non è messo a conoscenza degli elementi essenziali della pretesa tributaria. E poi, diverse sentenze della Corte di Cassazione ribadiscono un principio essenziale, del resto riportato nello stesso summenzionato Regio Decreto del 1933: gli immobili devono trarre un beneficio diretto dalle opere di bonifica, che si concretizza in un incremento reale, e non ipotetico, del valore commerciale; spetta al Consorzio l'onere della prova. La non liceità della tassa di bonifica in alcuni casi si evince, oltre che da errori formali o sostanziali, anche dall'aleatorietà dell'importo: nello stesso immobile alcuni cittadini sarebbero soggetti al pagamento, altri no; e capita che unità immobiliari adiacenti e perfettamente identiche, come è accaduto con alcune villette bifamiliari, debbano pagare somme molto diverse.

Tante sono le storie di ordinaria follia legate all'opera vessatoria dei Consorzi. Lo scorso anno il Consorzio di Bonifica del Basso Volturno inviò, indiscriminatamente a tutti i cittadini proprietari di immobili nel Comune di Giugliano in Campania, nel napoletano, che conta circa 100.000 abitanti, la sua brava richiesta di pagamento, da molti ignorata. Adesso si è passati alle vie di fatto, con la temuta cartella esattoriale; e così partiti politici, associazioni di consumatori, proloco si sono mobilitati per dare soddisfazione ai cittadini ormai stanchi di essere vessati. Una dura protesta sta partendo lungo tutto il litorale domitio e anche in qualche comune dell'entroterra, dove comunque nessuna opera di bonifica è stata eseguita negli ultimi anni. Ma a decidere non sarà la buona volontà degli avvocati, alcuni dei quali offrono la loro disponibilità gratuitamente, bensì la diligenza delle Commissioni Tributarie che dovranno rispondere ai ricorsi. E allora, buona fortuna a chi non sa neppure cosa sia un'opera di bonifica, ma è invitato ugualmente a svuotare il portafogli.




Lettere ai giornali


M'illumino d'immondezza
di Luigi Civita (pubblicata da Olibero Beha in data 8/1/2008, da L'Unità in data 07/01/2008)

"Sia fatta la spazzatura!" - urlò solenne l'Uomo. E Napoli ne fu orgogliosamente sommersa; perché fu il suo oro, maleodorante e putrescente, ma ugualmente prezioso. E di denaro e ricchezze si riempirono le tasche di certa gente, mentre il cielo e la terra morivano e, nel contempo, piccole divinità restavano a guardare dall'alto del proprio trono il degrado crescere di nascosto, e neppure troppo, come una malattia subdola che prima o poi avrebbe mostrato eclatanti i sintomi. Nessuna nuova, oggi, perché tutto era previsto e annunciato.

Prigioniero della spazzatura, nel mezzo del cammin della mia vita mi ritrovai per una discarica oscura, che la profumata via era smarrita. Ahi quanto a dir quale era è cosa sporca esta spazzatura puzzolente e aspra e forte che nel naso rinnova il ribrezzo. Tant'è tanta che poco più è morte. Ovunque strade chiuse dai sacchetti che proliferano e crescono ogni giorno, oppure dai manifestanti esasperati. Un dramma senza soluzioni possibili, una condanna allo scherno di chi incredulo mi telefona da lontano per chiedere se non si tratti della montatura dei giornalisti, perché cose così non se ne sono mai viste neppure per finta.

"Ho visto cose che voi Italiani non potreste immaginare. Bidoni della spazzatura in fiamme al largo delle colonne di Giugliano, e ho visto la diossina balenare nel buio vicino alle porte di Quarto. E tutti quei momenti andranno perduti nell'olezzo come sacchetti nelle strade. E' tempo di riciclare, o di morire!" - è la mia risposta, spontanea e cinica. Perché di navi all'orizzonte che portino via questa immondizia in cambio di un po' di senso di responsabilità per chi continua a guardare, a predicare, a giudicare, a promettere senza fare realmente nulla, non ce n'è. Ma forse questa raccolta non s'ha da fare, né domani, né mai, perché qualche bravo ragazzo ci resterebbe male. Intanto, mai più notti buie con il falò della disperazione che arde ormai ovunque.




Storie di vita


Notte di Natale
di Luigi Civita

Salivano ovattate fino alla sua stanza e cadevano come fiocchi di neve sulla trapunta colorata, sul cuscino bianco, sul volto mezzo addormentato e mezzo vecchio; note musicali, una canzone che lei non ascoltava, ma che faceva ugualmente pressione sull'anima intristita.
Era la notte di Natale, mentre lei si assopiva accanto al marito, condividendo forse involontariamente gli stessi pensieri. Come in quella canzone, pensava a qualcuno che non era venuto, che non aveva neppure telefonato. Era stato anche quello un Natale silenzioso, forse da buttare via.
Passavano le note, una seconda volta, una terza volta, come un'ossessione, e il sonno le accarezzava il cuore con immagini oniriche che si interlacciavano ai pensieri. La tavola imbandita era sgombra, adesso; le luci dell'albero continuavano da sole la loro danza; le fotografie passavano una dopo l'altra in un album senza pagine fatto di memorie. Quello squillo muto e malvagio lei lo aveva aspettato tutta la sera fino a mezzanotte, poi fino all'una in un agitato dormiveglia; ma ora la note lentamente si spegnevano.




Storie di vita

La veglia
Una vicenda reale, un sabato sera di metà settembre.
Non aspettatevi una storia avvincente, scritta per il pubblico, fluida e carica di spessore. Leggetela per quella che è: una pagina di diario scritta alle 4 del mattino, uno sfogo.

Amica mia, che spavento. Tremo ancora, non riesco a fermarmi. Ma per fortuna è finita, non è successo niente. Andiamo via da qui, ti prego.
Perché non rispondi?
La guardo. Non trovo nulla di strano in lei; perché, allora, si ostina a restare stesa, quando potremmo allontanarci da questo posto?
E' bella, è la mia amica, la compagna di tante avventure, così piccola e indifesa.
Andiamo via?
Non risponde.
Dormi? - le chiedo. Ma sicuramente non dorme, perché ha gli occhi aperti, e non ho mai visto nessuno dormire senza abbassare le palpebre.
Non risponde.
Avrà imparato a dormire con gli occhi aperti, forse era così stanca da non riuscire a chiuderli.
Respiro il suo odore, rassicurante e intenso. Osservo la sua sagoma. Ma non odo la voce, neppure un mugolio, oppure un ringhio di fastidio.
La tocco con la mia zampa; prima la sfioro soltanto, poi comincio a scuoterla con più energia.
Allora, ti svegli? Andiamo via? Questo posto non è sicuro, passano tanti di quei mostri d'acciaio che spaventano te e anche me, quelli che vanno veloci; e io ho paura. Vorrei almeno fermare questo tremore, è come un presagio. Qualcosa mi dice di non abbassare le difese, di proteggere le mie zone più delicate stringendo la coda tra le zampe. Non mi so spiegare questa paura, ma è così.
La annuso ancora una volta. Manca qualcosa nel suo profumo. La tocco di nuovo con la mia zampa, ma non reagisce.
Non so spiegarmi cosa sia accaduto; solo qualche minuto fa camminavamo tranquilli sul ciglio della strada, alla ricerca di cibo. E poi avevamo intenzione di giocare a ricorrerci. E' arrivato il mostro d'acciaio, molto veloce e tanto vicino, e per la paura ho chiuso di gli occhi. Quando li ho riaperti, il mostro non c'era più, e tu avevi cominciato a dormire. Forse sei scivolata e ora ti vergogni di ammetterlo? Rispondimi, ti prego.
Non sei mai stata così silenziosa, non ti capisco.
I mostri d'acciaio continuano a correre uno dopo l'altro, alcuni vicini vicini alla mia amica, altri più distanti. Ogni volta che ne sento uno, salgo sul marciapiedi e resto a guardarlo, fin quando non è passato. Uno di questi rallenta, è il primo che lo fa mentre mi passa accanto; vedo il viso di un uomo, quelle creature grandi, strane, senza pelo, che camminano a due zampe e che ogni tanto mi offrono delle coccole, oppure qualcosa da mangiare; o a volte un calcio. Vedo il viso di un uomo che mi osserva con attenzione, e la cosa non mi piace; ma sinceramente ho altro a cui pensare, devo capire perché la mia amica non si decide ad alzarsi.
La annuso. Ora capisco cosa manca al suo profumo: l'odore dell'alito, non riesco più a sentire cosa ha mangiato a pranzo.
Dei passi. Ho paura, ma non posso lasciare sola la mia amica; mi faccio forza, cerco di dominare il desiderio di scappare, di nascondermi, ma un po' mi allontano ugualmente, coda tra le gambe e orecchie all'indietro per non offrire presa.
Sono due umani, un maschio e una femmina. Il maschio si avvicina alla mia amica e la guarda; temo che possa farle del male. La guarda e dice qualcosa, ma non la tocca. Meno male.
Mi parla.
"Piccolo, vuoi una carezza?"
Ho paura, tanta paura e non so neppure io perché. Ma al tempo stesso gradirei una coccola. Mi siedo e abbasso la testa; lascio che il maschio umano mi tocchi, mentre paura e dedizione si alternano, poi si mescolano in un sentimento che non saprei neppure definire. Dovremmo essere amici, ma non mi fido. E poi, sinceramente, le coccole mi consolano, ma ora devo svegliare la mia amica.
Mi allontano dagli umani e torno da lei.
Gli umani parlano tra loro e scorgo un velo di tristezza sui volti. Poi, vanno via, tornano al loro mostro d'acciaio e ripartono.
Seduto sul marciapiede, aspetto che lei si svegli. Prima o poi capirà che si sta avvicinando ora di cena e dobbiamo ancora trovare qualcosa da mangiare; a dire il vero, ho lo stomaco chiuso.
Il sole sta calando, e con esso la temperatura, ma lei continua a dormire. Abbaio. La tocco. La spingo con le mie zampe. L'annuso.
Nessuna reazione.
Seduto sul marciapiede resto a guardarla e a proteggerla, mentre il sole tramonta, mentre le stelle fanno capolino, mentre la luna sorge, mentre i lampioni si accendono, mentre il cielo diventa sempre più scuro.
E' buio e siamo ancora qui. Ora i mostri d'acciaio sono molto meno frequenti.
E' tardi, molto tardi.
Sento nuovamente piedi umani che si avvicinano. Di notte divento più pauroso; è da codardi, ma non posso farci niente. Attraverso la strada e mi allontano, senza mai perdere di vista la mia amica.
Guardo il volto: mi sembra di riconoscerlo. Si, è l'umano che nel pomeriggio mi ha coccolato, ma stavolta è da solo. Con quell'ombra lunga e la barba che gli oscura il viso mi fa paura. Si, prima è stato buono con me, ma gli uomini sono così imprevedibili. Mi mantengo a distanza di sicurezza e lo osservo.
Si accuccia. Mi parla. La sua voce è dolce, ma io ho paura ugualmente; vorrei avvicinarmi, ma l'istinto di conservazione mi consiglia di non farlo.
"Piccolo, non mi riconosci? Sono tornato perché ero preoccupato per te. Sei accanto alla tua amica da tante ore, adesso devi andare via"
Coda tra le gambe. Orecchie tese. Tremo.
"Posso accarezzarti?"
No, ho paura.
Si alza. Così grande mi spaventa ancora di più e aumento la distanza di sicurezza tra noi due.
Si riaccovaccia. "No, non voglio spaventarti. Vieni qui."
Mi porge le mani. Perché non va via? Devo tornare dalla mia amica, l'ho lasciata sola per troppo tempo; guardo dall'altra parte della strada e la vedo ancora lì.
"D'accordo, rispetto il tuo dolore e me ne vado."
No, non andare via, non lasciarmi solo.
Mentre è di spalle, riduco le distanze, giusto di qualche passo, e lui se ne accorge. Si volta e si siede a terra.
Facciamo questo strano gioco a lungo. E piano piano mi ritrovo al suo cospetto. Fa per accarezzarmi, ma mi ritraggo ancora.
"Andiamo dalla tua amica, allora" - dice. E attraversa la strada. Che vuole fare alla mia amica? Non gli do la possibilità di restare da solo con lei e lo precedo. La guarda, poi osserva me. Allunga la mano verso la mia testa. Il suo tocco è delicato, mi sfiora appena, ma sento ugualmente il calore della pelle e del sangue che scorre attraverso le sue vene. Non mi basta. Lo guardo e lui sembra capirmi, anche se non parlo. Le sue carezze diventano più intense, convincenti. Pace nel mio cuore. Mi accrezza il pelo in entrambe le direzioni, con entrambe le mani.
"Piccolo, vorrei offrirti una notte serena. Vorrei fare qualcosa per te e per la tua amica. Lei, purtroppo, non giocherà più con te."
Continua ad accarezzarmi.
"Lei è morta e non puoi farla tornare neppure restandole accanto per sempre."
Che vuol dire?
"Potrai farle compagnia questa notte, ma dovrai lasciarla, domani."
Lasciarla? Perché mai?
La notte avanza. L'ho lasciata sola troppo a lungo, preso dal piacere delle coccole e mi sento quasi in colpa. Torno da lei.
L'uomo mi guarda e fa per allontarnarsi.
No, resta qui. Mi volto verso di lui e mi sollevo su due zampe, pregandolo di non lasciarmi. Lui mi sorregge così e mi guarda.
Fai qualcosa per lei, ti prego.
"Vorrei aiutarla, piccolo mio. Ma sono un uomo e non ho questo potere. Posso togliere la vita, ma non donarla, e questa è la mia peggior condanna. Porto tanti fardelli sulle spalle, come uomo, questo lo eviterei."
Fai qualcosa, insisto.
"Posso aiutare te, consolandoti, ma non lei. Lei è morta, piccolo mio. Vuoi venire con me? Ti porto a casa."
La sua mano infonde energia, adesso più di prima. Lo guardo e continuo a pregare. Lo guardo e non smetterei mai di fissare i miei occhi nei suoi; sarei felice, se anche lei fosse in piedi con me. Lei. Torno a quel corpicino immobile, abbandonando l'umano.
Dice che sei morta, forse è una cosa brutta. Forse significa che non potremo più rovistare nei bidoni della spazzatura? Forse significa che non berremo più insieme dalla pozzanghera? Forse significa che non ci saranno altre carezze per entrambi? Anche se sei morta, non ti lascio da sola.
Piove. Piove una sola goccia sul mio musetto. Alzo il capo. Gli uomini piangono con le lacrime, mi sembra. E quell'uomo ne ha altre due che scivolano lungo il suo viso.
Si allontana, ma ora io ho occhi solo per la mia amica.
E' notte. Forse per questo lei è così fredda. Mi stendo accanto per riscaldarla. Le lecco il muso, poso una zampa sul suo corpicino, quasi ad abbracciarla, come fanno gli umani, e così restiamo. Domani, quando sorgerà il sole, sono certo che tutto sarà come prima.
Un mostro d'acciaio sfreccia in lontananza, verso di noi. Forse dovrei salire sul marciapiede, ma sono stanco. Tanto stanco.





Lettere ai giornali (15/09/2007)

Modernissimo Cinema Porcile

Nel cuore storico di Napoli, a ridosso dei vicoletti antichi e a pochi passi da importanti strade di collegamento, esiste una sala cinematrografica che rispecchia l'immagine distorta e non veritiera di quella città di natura sciatta e abbandonata a se stessa che riempie le fantasie di tanti forestieri.
Dopo anni di spettacoli in moderni e organizzati multisala di periferia, ebbi la triste idea di concludere il mio sabato sera in un locale che ha fatto anch'esso la storia della mia Napoli bella e insieme malsana, profumata e a tratti putrescente. Una pizza, una lunga passeggiata tra il colore e il calore umano della città e, infine, un film-documentario sulle magagne a molti ignote d'oltreoceano.
Sette euro, come nella maggior parte dei cinematografi; ma, incluso nel prezzo dello spettacolo, anche degli optional che avrei volentieri risparmiato a me e, specialmente, alla mia amica di milanese adozione.
Ad ogni passo, tra le strette file di sedie, uno scricchiolio funesto; in un film horror, sarebbero state ossa delicate che si frantumavano al mio passaggio, ma era soltanto uno spesso strato di popcorn e patatine che rallegrava la moquette invecchiata. Seduto tra gli avanzi e le cartacce, mi sembrava di aver sprecato la mia serata. Quando feci presente il mio disagio al direttore del cinema, in attesa che lo spettacolo iniziasse, mi sentii rispondere semplicemente che non era colpa sua se i bambini napoletani (quelli dello spettacolo precedente) sono tutti maleducati. Sono stato un bambino napoletano, tanti anni fa, ma non ero maleducato, e un po' mi risentii. Nessuna scusa, solo uno scrollarsi di dosso la reponsabilità della sporcizia nella quale avrei trascorso le mie successive due ore.
Tornai, deluso e pensieroso, alla sedia assegnatami e, cercando di scavalcare i piedi e le gambe di chi, pago di rassegnazione, era accomodato al suo posto, aiutai il mio equilibrio malfermo appoggiandomi gli schienali; se non avessi avuto la pelle resistente, mi sarei senz'altro ferito con gli spuntoni di plastica dei rivestimenti decrepiti. E a guardar bene, non c'erano sedili integri; forse uno o due in tutta la sala. E le pareti erano sporche, la polvere imperversava anche sullo schermo; qualcuno ci aveva scritto con le dita il suo nome: come il "lavami" sui lunotti delle automobili che per mesi non vedono una spugna. La mia amica si guardava intorno incredula, lei che della sua città natale ormai ricordava solo il bello.
Pochi minuti di pubblicità, e poi lo spettacolo ebbe inizio. Un film-documentario, con spezzoni che sembravano di fattura amatoriale per aumentare il realismo; e al verismo della pellicola associai i fruscii incessanti, le interferenze a video. "Saranno i primi minuti" - pensai. Ma dopo un quarto d'ora di disturbi una sottile emicrania cominciò a fare capolino. Improvvisamente le luci si accesero e una voce ci avvisò di guasti alla pellicola (mi chiedo, nelle sale cinematrografiche si usa ancora la vecchia pizza?); un po' di pazienza, le cose si sarebbero sistemate. Dieci minuti di pausa, lo spettacolo riprese. Dopo un'ora e mezza, avevo una possente emicrania.
sette euro per trascorrere la serata in un porcile, senza offesa per i porci, e per sognare un antidolorifico. Per fortuna il film era finito e con esso i fruscii. Avere il rimborso del biglietto? Utopia: siamo napoletani e dobbiamo accontentarci di quel che ci viene offerto.





Un pensiero

Ritrovarsi

Toc. Toc Toc. Non era la porta, ma il mio cuore scosso da una voce lontana che si avvicinava, che si faceva strada tra la musica di un ricordo. Una voce che avevo paura di riascoltare, per il vortice che avrebbe portato con sè, eppure tanto desiderata, a volte sognata e talora solo immaginata. Io torno sempre, mi dissi prima di partire, ma stavolta ho impiegato tempo per farlo, senza una ragione se non quella del vento sempre più forte.
Ho camminato tanto, per sentire forte la voce di Dio intorno a me. Giorni di solitudine, avrebbe pensato qualcuno, ma non ho mai avvertito lo sconforto del non avere nessuno con cui parlare, perché vivevo dei silenzi della mia anima, un po' più placata anche se ancora scossa da una rabbia per la quale lei non c'entrava nulla. E' tornata lei, prima di me; non ho mai dimenticato le stelle cadenti più belle che il mio occhio abbia mai veduto e i baci consacrati ad un paesaggio vicino e denso di ricordi giovanili; e le sue mani, le carezze strappate senza promesse, perché sapevo che il vento si sarebbe levato presto.
Capirsi, scrissi una volta. Ritrovarsi, scrivo ora; perché chi entra nel mio cuore non vi esce mai, anche quando spiego le mie ali.





Storie di vita

Foglie di basilico

Quell'uomo, 66 anni sulle spalle ma con la schiena ancora ritta e attivo come un giovanotto con quattro decenni di meno sulla carta d'identità, quella mattina si svegliò con due pensieri: cucinare qualcosa di buono per il figlio maggiore tornato da una solitaria vacanza in giro per i monti e raccogliere del basilico fresco dall'orticello che curava con convinzione e uguale confusione: basilico, rosmarino e pomodori che litivagano giorno dopo giorno per rubarsi l'un l'altro un briciolo di terra, troppo poca per tante piante.
Basilico fresco e profumato, coltivato come la Natura desidera, con le foglie rigogliose ma a volte rovinate da piccole creature evidentemente ghiotte, foglie che avevano visto solo acqua e da sempre ignare di polveri chimiche. Basilico, olio, noci o mandorle, pinoli, sale e aglio, tanti vasetti, un pizzico di amore, un sorriso e spazio a sufficienza nel congelatore: ingredienti semplici per un condimento da leccarsi i baffi. Ma quel pesto non serviva per l'inverno, era un dono economico e prezioso al tempo stesso per il figlio minore, lontano, tanto lontano pur vivendo a pochi chilometri dalla casa paterna. Un regalo pensato con ore di anticipo, e con l'illusione nel cuore destinata rapidamente a creparsi e a dissolversi nel buio della realtà.
"Lo mettiamo in frigo, fino a domani si mantiene fresco come appena fatto. Fino a domani, poi se lo porterà a casa." - parole genuine, naturali.
"Lascia stare, congelalo, lui domani non verrà." - erano invece le parole della realtà, era la voce di una donna che nella sua finzione sapeva, aveva capito che doveva accontentarsi delle briciole, quelle che nessuno vuole, quelle che riusciva a rubare con una telefonata mattutina o una scusa pomeridiana.
"Ma non c'è spazio nel congelatore, non avrei dove metterlo." - l'uomo si aggrappava con una speranza, mentre il cane ai suoi piedi, steso a coprire il pavimento per disperdere il calore di una mattina assolata, lo osservava, pronto ad allontanarsi per sfuggire ad una tensione crescente.
Lui guardò la donna, poi osservò i vasetti lavati con amore, le foglie verdi. Prese tutto il basilico e diligentemente lo posò nel contenitore della spazzatura, perché quelle foglie erano ormai morte.





Un pensiero

Nostalgia
di Luigi Civita

Su quello scoglio sedevo ad ascoltare i racconti del mare; lieve il respiro del vento sul ricordo dei miei capelli, cangianti le ombre della luna tra nembi sottili come un velo. Aspettavo lui, sperando che sarebbe davvero arrivato, accomodandosi in silenzio al mio fianco.
Avrei atteso per l'eternità; se avesse tardato anche oltre l'immensità del tempo non lo avrei rimproverato, perché so quanto siano lenti e difficili i suoi passi e insidiosa la strada.
Con gli occhi della mente lo vedevo camminare nella notte, con un buio immenso nel cuore. Eppure il suo sguardo sa sciogliere l'incalzare dell'indifferenza, il suo soffio può crepare il marmo che frena la pietà.
Lo vedevo camminare un passo dopo l'altro sull'asfalto ancora caldo di una notte di fine estate, sotto la pioggia sottile dell'autunno incombente, tra le ruote indifferenti di automobili distratte, con le mani doloranti e le vesti logore che segnano il tempo. Lo sentivo cadere, e poi rialzarsi come sempre, accompagnato da quel ritmo incalzante nel cuore; e chi riesce a sentirla la sua musica, i pochi che la odono tra i clacson e il fragore quotidiano, non la dimenticano. Bianco, nero, a due o quattro zampe, muto o loquace, qualunque forma possa assumere, l'essenza resta uguale e lui rimane coerente con se stesso, con il mondo che lo ospita. Appare sporco della lordura esistenziale, ma lo ripulisce la speranza.
Mi mancavano i suoi occhi, quella notte, la sua voce disperata, l'ululato di dolore che può riempire financo gli interstizi molecolari.
Alia, mio amico perso nel cerchio eterno di un valzer senza fine, fa ormai parte della mia vita, anche quando mi lascia con una lacrima insicura sul volto ad aspettarlo per ore, giorni, anni, secoli, ere geologiche seduto su quello scoglio ad ascoltare i racconti del mare.





Un pensiero

Capirsi

Mi pervade un senso di leggerezza e di sottile piacere quando parli "dei miei monti", quando li definisci così, miei; qualcosa che appartiene a me, che tu vedi da lontano, che vivi dai miei racconti e dai miei sogni ad occhi aperti, ma di cui non puoi e non desideri impossessarti sottraendomeli; semmai, dividendone una parte.
Mi piace quando saluti con una carezza il mio cane, pur non provando lo stesso mio affetto, perché cerchi un punto di incontro.
Ascolto le tue parole e amo ritrovarmici.
E' quanto volevo dirti in questa sera che scorre veloce e malinconica tra le note di una canzone antica dedicata a lei. Lei che a volte mi manca.
Grazie per avermi pensato, anche solo per un attimo.






Un pensiero

Amicizia
di Luigi Civita

Dicesti che io sono tuo Amico.
Ma ti sei mai chiesto cosa sia davvero l'Amicizia?
Come la maggior parte dei sentimenti è una chimera,
che inseguiamo ogni giorno senza mai raggiungerla;
e quando crediamo di averla finalmente braccata e intrappolata,
ci accorgiamo che ha cambiato aspetto.
Attendi prima di definirmi tuo Amico, perché potrei tradirti.
Non raccontarmi di te, perché potrei ferirti.
Ascoltami e credi solo ad una parte delle mie parole, perché potrei essere un bugiardo.
Mangia al mio tavolo, ma attento a non farti rubare da me il pane.
Stringi la mia mano, ma non lasciarmi stritolare la tua.
Fissa i miei occhi, ma stai attento a non farti ingannare dalla loro purezza.
L'Amicizia è un bene pericoloso,
che rende più calde le nostre giornate invernali,
ma potrebbe uccidere.
Lascia che gli anni scorrano tra di noi
e quando saremo un po' più vecchi
chiediti se tu sei stato mio Amico.
Chiedilo al cielo e agli alberi, agli uccelli e alle farfalle.
Se ti risponderanno di si,
allora ti accorgerai che nel tempo
non ti ho lasciato mai un attimo da solo.






L'ultimo aggiornamento risale al 18 gennaio 2008.

News + o - serie

08/11/2008   Perché?

Perché il mondo ha Obama, Sarkozy, la Merkel... e a noi resta sempre Silvio?

08/11/2008   Uno scoop napoletano

Emma di notte dorme nientemeno che con il pigiama del NAPOLI!!!

07/11/2008   Non sono bello né abbronzato...

... e pertanto il Cavaliere mi snobba. Devo sentirmi crucciato?

26/08/2008   A volte ritornano...

... ma in questo periodo sta tornando davvero un sacco di gente dal mio passato! Bentrovati!

24/08/2008   Strani inviti

Ho invitato a cena Daria, Wolfone3 e PeachGirl; non capisco perché, ma si è presentata una vacca!


Aggiornamenti

Gli ultimi aggiornamenti del sito :

- Daya ha trovato casa!
- Consorzi di Bonifica
- Telefonia mobile
- 24 anni dopo


Links

Claudio Ciccarone
In occasione della ripubblicazione de "La Bibliotecaria", ed. Fanucci, il giornalista e scrittore napoletano, nonché mio amico, Claudio Ciccarone ha pubblicato il suo sito.

Teste Fresche fra le Nuvole
Il Bakongo non vuole dare visibilità al suo sito, pertanto non visitatelo, anche perché è in aggiornamento. Tuttavia, non potevo escludere dai miei link preferiti il sito di un amico.

LAV - Sede Nazionale
La LAV si batte da sempre per i diritti di tutti gli animali: se vi sta a cuore la sorte dei nostri amici non umani, è il sito che fa per voi.

LAV Napoli
Il sito della Delegazione di Napoli della LAV

Federconsumatori
Se non accettate i soprusi istituzionali, c'è qualcuno pronto ad aiutarvi

Cucinare - Il sito di Titti
La dolcissima Titti gestisce questo sito con tante deliziose ricette di cucina, anche vegetariane!

Necrofagia (ovvero, del mio non mangiar carne)

Croce Rossa Italiana
Chi non conosce la Croce Rossa?

Tra i colori della natura
Il blog di Angela!